“Mamma, mi compri un amichetto?”

“Mamma, mi compri un amichetto?”

In un episodio della serie tv “Atypical”, realizzata da Netflix (2017), Sam ‒ un ragazzo di 18 anni con sindrome di Asperger ‒ condivide la propria situazione dolorosa con un peluche. La madre, che assiste stupita a questa confessione emotiva, riesce ad approfondire la situazione di suo figlio prestando la propria voce al peluche. La madre di Sam scopre un mezzo inatteso per avere un dialogo profondo con suo figlio, ma la domanda che sorge spontanea è: perché Sam si confida con un peluche?

In letteratura, il dialogo di Sam con il peluche è chiamato gioco di fantasia o di finzione e viene inteso come un’attività in cui la persona distorce intenzionalmente la realtà per agire in una modalità fittizia (Fein, 1981). Per essere agito, questo gioco richiede abilità sia sociali che esecutive, quindi saper monitorare più elementi contemporaneamente, come fosse una cabina di regia. Alcune ricerche hanno evidenziato tre aree cerebrali che si attivano maggiormente per queste abilità: il solco temporale posteriore superiore, o pSTS, si attiva in particolare per l’elaborazione di stimoli sociali (Lloyd-Fox, Blasi, Volein, Everdell, Elwell, & Johnson, 2009); la corteccia prefrontale, o PFC, viene ingaggiata per la gestione della realtà circostante (Burgess & Stuss, 2017); infine, la corteccia orbitofrontale, o OFC, associata all’elaborazione della ricompensa, è attiva, ad esempio, in neonati che osservano la propria madre sorridere loro e, similmente, nelle stesse madri mentre guardano i propri figli (Minagawa-Kawai, Matsuoka, Dan, Naoi, Nakamura, & Kojima, 2009).

Prese insieme, queste aree potrebbero essere coinvolte nel gioco di finzione dato che: è un’attività piacevole (OFC), comporta un’interazione sociale (pSTS) ed è fittizio (PFC). È così che Hashmi,  Vanderwert, Price e Gerson (2020) hanno deciso di monitorare l’attività di queste tre aree mediante spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso (o fNIRS, tecnica di visualizzazione dell’attività cerebrale che utilizza fasci di luce diffusa) in 33 bambini tra i 4 e 8 anni mentre giocavano con bambole o tablet, da soli o in compagnia. L’esperimento consisteva in 10 sessioni di gioco: due sessioni in cui il bambino giocava insieme a uno sperimentatore; sei sessioni in cui il bambino giocava da solo; due sessioni in cui il bambino torna a giocare con lo sperimentatore, ma solo con i giochi che preferisce.

I risultati hanno dimostrato quanto segue:

  • L’area OFC si attiva maggiormente nelle bambine quando giocano da sole rispetto ai bambini: sembra che esse riscontrino più piacere, rispetto ai maschi, nei giochi in solitario;
  • L’area PFC si attiva maggiormente quando il bambino gioca in compagnia rispetto a quando gioca da solo: questo potrebbe suggerire che il gioco in compagnia richiede un coinvolgimento maggiore in termini di controllo della realtà;
  • Il risultato più interessante viene dall’area pSTS, che non solo si attiva maggiormente durante il gioco in compagnia, ma anche quando il bambino gioca da solo con le bambole, più che con il tablet.

Questi risultati sembrano coerenti con la letteratura di riferimento. Ad esempio, già qualche anno prima, uno studio di Coplan, Ooi, Rose‐Krasnor e Nocita (2014) ha riscontrato come bambini che preferivano giocare da soli, venivano descritti dalle proprie insegnanti e dalle madri come bambini con più difficoltà a relazionarsi: il rifugiarsi nel gioco di finzione suggerisce agli studiosi che questi bambini potrebbero trovare non solo uno sfogo per la propria creatività, ma anche un esercizio di comunicazione sociale. Come Sam si serve di un peluche per far risuonare il proprio vissuto emotivo, così altri bambini, non necessariamente con sviluppo atipico, potrebbero trovare nel gioco di finzione un modo per esprimersi e una palestra per poter gestire le relazioni con i propri simili. In effetti, non a torto una canzone chiede: “Complichiamo i rapporti come grandi cruciverba e tu mi chiedi…perché?” (Cremonini, 2017).

 


Bibliografia

Burgess, P. W., & Stuss, D. T. (2017). Fifty years of prefrontal cortex research: impact on assessment. Journal of the International Neuropsychological Society, 23(9-10), 755-767.

Coplan, R. J., Ooi, L. L., Rose‐Krasnor, L., & Nocita, G. (2014). ‘I want to play alone’: Assessment and correlates of self‐reported preference for solitary play in young children. Infant and Child Development, 23(3), 229-238.

Fein, G. G. (1981). Pretend play in childhood: An integrative review. Child development, 1095-1118.

Hashmi, S., Vanderwert, R. E., Price, H. A., & Gerson, S. A. (2020). Exploring the benefits of doll play through neuroscience. Frontiers in human neuroscience, 14, 413.

Lloyd‐Fox, S., Blasi, A., Volein, A., Everdell, N., Elwell, C. E., & Johnson, M. H. (2009). Social perception in infancy: a near infrared spectroscopy study. Child development, 80(4), 986-999.

Minagawa-Kawai, Y., Matsuoka, S., Dan, I., Naoi, N., Nakamura, K., & Kojima, S. (2009). Prefrontal activation associated with social attachment: Facial-emotion recognition in mothers and infants. Cerebral cortex, 19(2), 284-292.

 

Videofilmografia

Rashid R. (2017). Atypical. In R. Rashid, S. Gordon, M. Rohlich, Netflix

 

Discografia

Cremonini, Cesare, Nessuno vuole essere Robin, Trecuori srl, 2017.

Cesare Mann Cesare Mann

Cesare ha solo 18 anni, ma ha una grande passione per il disegno che lo spinge ogni giorno ad approfondire e scoprire, da autodidatta, tutti i segreti dell'illustrazione digitale!

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