Con il termine psicosomatica si fa generalmente riferimento ad una serie di malattie fisiche, la cui patogenesi è fortemente influenzata dalla presenza di fattori di tipo psicologico. Tuttavia, la considerazione di disturbi psicosomatici e dei concetti relativi a quest’area clinica ha subito un’importante evoluzione nel corso degli anni, che si riflette – dal punto di vista diagnostico e classificativo – nei manuali diagnostici e statistici dei disturbi mentali (DSM).
Nella prima edizione del DSM, pubblicata nel 1952 e fortemente influenzata dalle dottrine psicoanalitiche dell’epoca, è possibile leggere precisi riferimenti ai disturbi psicosomatici come esito di conflitti emozionali interni. Nel 1968, con la pubblicazione del DSM-II, quest’area clinica viene inserita nella categoria dei “disturbi psicofisiologici autonomici e viscerali”, probabilmente in risposta alle sempre più diffuse ricerche in ambito psicofisiologico. A seguito delle numerose evidenze riguardanti la correlazione tra eventi stressanti e l’insorgenza di malattie psicosomatiche, negli anni ’80 il DSM-III cambia ancora nome alla categoria in: “fattori psicologici che incidono sulla condizione fisica”. Vent’anni più tardi, il DSM-IV-TR rinomina questa classe in “disturbi somatoformi”, descrivendoli come sintomi fisici che fanno presumere una condizione medica generale, ma che non sono in realtà riconducibili ad essa, né agli effetti di una sostanza o ad un altro disturbo mentale (American Psychiatric Association, 1952, 1968, 1980, 2000).
Con la pubblicazione del DSM-5, nel 2013, avviene un importante cambio di rotta: nella categoria dei “disturbi somatici e disturbi correlati” il focus viene spostato dall’assenza di una condizione organica in grado di spiegare il quadro sintomatologico, ai pensieri, sentimenti, comportamenti anomali e al disagio generalizzato che accompagnano la presenza di sintomi somatici. Questa nuova concettualizzazione riflette il superamento di una concezione dicotomica tra mente e corpo come capaci di influenzarsi solo unidirezionalmente, per riconoscere invece la profonda interrelazione tra i sistemi bio-psico-sociali e i meccanismi complessi, in parte ancora sconosciuti, che la sottendono (American Psychiatric Association, 2013).
Un esempio di malattia classificata come psicosomatica e correlata allo stress è la febbre psicogena: alcuni pazienti, esposti ad eventi emotivi altamente stressanti, sviluppano una temperatura corporea interna estremamente elevata (fino a 41°); altri, in risposta a situazioni di stress cronico, mantengono una temperatura corporea più moderatamente elevata (37-38°), ma persistente. Il fatto che la febbre psicogena non sia attenuata dai farmaci antipiretici, quanto piuttosto da farmaci psicotropi con proprietà ansiolitiche e sedative, e da interventi – naturali o psicoterapici – volti a risolvere le difficoltà del paziente, dimostra la forte interrelazione tra sintomi fisici e disagio psicologico, sebbene i meccanismi sottostanti risultino ancora da comprendere (Oka, 2015). Anche l’associazione, ampiamente dimostrata, tra la vasta categoria di malattie cardiovascolari e lo stress psicologico risulta essere governata da dinamiche tutt’ora ambigue (Golbidi, Frisbee, & Laher, 2015).
Quello che sembra evidente è che i fattori eziologici in grado di causare i disturbi psicosomatici siano multifattoriali e necessitino di ulteriori indagini, ma anche che i fattori psicologici, e in particolar modo lo stress, giochino un ruolo fondamentale nel complesso quadro dei meccanismi che governano la salute (Uma Maheswari & Gnanasundaram, 2010).
Negli esseri umani, come in tutti i mammiferi, il principale sistema di risposta allo stress è l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), deputato al mantenimento del nostro organismo in equilibrio nel suo ambiente e responsabile, al suo endpoint, del rilascio di cortisolo, detto anche ormone dello stress. Diversi studi hanno fornito prove ed evidenze della presenza di un’associazione significativa tra la disregolazione dell’HPA e sintomi psichiatrici e fisici (Jessop & Turner-Cobb, 2008; O’Connor, O’Halloran, & Shanahan, 2000).
Per questa ragione, i livelli di cortisolo, rilevabili – ad esempio – tramite analisi salivare, risultano indicativi del funzionamento dell’asse HPA e sono considerati marcatori significativi e affidabili dello stato di stress fisiologico, anche cronico (Pomerleau & Pomerleau, 1990).
Kumuda, Suchetha, Subhas, Urvashi, e Harshini (2018) hanno condotto uno studio con l’obiettivo di stimare i livelli di cortisolo salivare come indicatore biochimico di stress in un gruppo a rischio di mostrare aumentati livelli di stress e di soffrire di molteplici problemi di salute ad esso correlati: le donne in post-menopausa. In particolare, si sono concentrati su un gruppo di malattie psicosomatiche riconosciute in medicina da molto tempo, ma estremamente meno studiate e conosciute delle altre: le malattie della testa e del collo, e in particolare i cambiamenti orali in risposta allo stress (Pop-Jordanova & Loleska, 2020).
Per farlo, hanno raccolto un campione composto da 200 donne in post-menopausa, di cui la metà aveva ricevuto una o più diagnosi clinica di disturbi psicosomatici nella regione della testa e del collo. Tra i sintomi maggiormente riscontrati in questa categoria di malattie psicosomatiche c’erano: lichen planus, ulcere aftose, sindrome della bocca ardente, artrite dell’articolazione temporo-mandibolare, sindrome del dolore miofasciale, dolore facciale atipico, bruciore alla lingua, alterazione del senso del gusto, bocca secca e alitosi (Uma Maheswari & Gnanasundaram, 2010).
I risultati hanno dimostrato che i livelli di cortisolo erano significativamente più alti nelle donne in post-menopausa che avevano uno o più disturbi psicosomatici. I livelli di cortisolo salivare si sono quindi dimostrati affidabili come marker di stress cronico e fortemente correlati ai disturbi psicosomatici. Gli autori dello studio hanno confermato il ruolo dello stress nell’influenzare lo stato di salute generale, ma sottolineano anche la necessità di individuare quali siano i vari tipi di stressors che portano alla manifestazione dei disturbi psicosomatici e quali siano le modalità con cui questo avviene.
In conclusione, risulta evidente che lo stress eccessivo o cronico possa facilmente impattare in modo negativo sul nostro stato di salute, tanto che è stato ampiamente riconosciuto come fattore premorboso universale e associato a molti dei fattori di rischio correlati a varie malattie croniche. Pertanto, il monitoraggio dei livelli quantificativi dei mediatori dello stress, tra cui il cortisolo, può fornire l’opportunità di prevenire ed intervenire in modo precoce e tempestivo su tutte le condizioni patologiche legate allo stress (Lee, Kim, & Choi, 2015). In particolar modo, l’analisi dei campioni salivari, in grado di monitorare i livelli di cortisolo presenti nell’organismo, ci consente una misurazione oggettiva dello stress, diventando strumento fondamentale per fare luce sul ruolo dello stress nella genesi e nella precipitazione di una moltitudine di problemi di salute, ma anche nella individuazione e soluzione degli stessi (Kumuda et al., 2018).
Bibliografia
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Kumuda, R., Suchetha, K., Subhas, G. B., Urvashi, A. S., & Harshini, U. (2018). Estimation of salivary cortisol level in post-menopausal women with psychosomatic disorders. African health sciences, 18(2), 244–252.
Lee, D. Y., Kim, E., & Choi, M. H. (2015). Technical and clinical aspects of cortisol as a biochemical marker of chronic stress. BMB reports, 48(4), 209–216.
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