L’arte del Cliffhanger e l'effetto Zeigarnik: il pensiero fisso di una cosa

L’arte del Cliffhanger e l'effetto Zeigarnik: il pensiero fisso di una cosa

Nella raccolta di novelle arabe “Mille e una notte”, Shahrazad, la figlia del visir, per scampare alla minaccia di morte da parte del re, decide di intrattenerlo ogni notte con un racconto che termina con un colpo di scena, riuscendo così ad incuriosirlo tutte le volte e a ritardare la propria condanna. Questo meccanismo usato spesso nei racconti è chiamato in gergo cliffhanger e ha lo scopo di lasciare il lettore o lo spettatore incerto sugli esiti della storia, creando suspence e interesse. Ma quale meccanismo psicologico si cela dietro questo espediente artistico?

A tutti noi sarà infatti capitato di pensare spesso ad una persona e avere delle difficoltà a dimenticarla, o non riuscire a togliersi un motivetto di una canzone dalla testa. Questa tipologia di pensiero ricorrente è sostenuta e alimentata da una modalità ben precisa di lavoro del nostro cervello e di ricordo. Parliamo dell’effetto Zeigarnik, studiato dalla psicologa Bluma Zeigarnik (1927), la cui storia nasce da una brillante intuizione alquanto singolare. La ricercatrice lituana, mentre si trovava in un ristorante, notò come il cameriere riuscisse a ricordare a mente un vasto numero di ordinazioni, ma dopo averle servite al tavolo dimenticava la comanda. Quello che sembrava ricordare perfettamente erano le ordinazioni lasciate a metà.

I successivi studi della psicologa (Zeigarnik, 1938) sottolineano come, quando un compito non viene portato a termine, si crei nel nostro cervello uno stato di tensione che impedisce alla mente di elaborare del tutto il compito stesso (Mazur, 1996). Il cervello “impedisce” di portare a termine altri processi mentali poiché completamente focalizzato sull’azione incompiuta e, al contempo, generando dei rimurginii. Il meccanismo alla base dell’effetto Zeigarnik può riguardare non solo azioni, ma anche persone, canzoni o oggetti. Prendiamo ad esempio le relazioni in cui la chiusura è stata decisa prevalentemente da un solo partner: il non riuscire a smettere di pensare all’ex sembra ricollegarsi a questo effetto, perdurando nella nostra mente, influenzati però anche da altri fattori soggettivi, come la tendenza al rimuginio o all’auto-svalutazione (Puschner, Bauer, Horowitz & Kordy, 2004).

Il cliffhanger gioca pienamente su tale meccanismo, poiché rappresenta il momento in cui la storia si interrompe e genera dei punti interrogativi nello spettatore o lettore. I prodotti televisivi, specialmente statunitensi, si nutrono totalmente di cliffhanger, in special modo riguardo i finali di stagione, che si presentano più o meno regolarmente nel continuum narrativo delle serie, riuscendo in tal modo a tenere incollati gli spettatori agli schermi e assicurandosi la visione anche degli episodi successivi. Celebre fu l’episodio conclusivo della terza stagione di “Dallas” (CBS, 1980) che terminò con il tentativo di omicidio contro il villian della serie, J.R., che divenne letteralmente un’ossessione per il pubblico americano, tanto da creare leggende, scalpore e discussione, generando un movimento mediatico che aprì le porte ai più moderni interrogativi televisivi.

Ma come rimediare all’incompiuto? Indirizzare il nostro pensiero in modo cosciente risulterebbe difficile oltre che controproducente. Nel caso delle relazioni o degli avvenimenti personali un primo passo potrebbe essere quello di accettare con serenità ciò che ci circonda, comprendendo di non poter controllare totalmente il mondo esterno. Rispondere agli interrogativi sciogliendo i nodi irrisolti permette di ridimensionare l’entità dell’evento stesso a una condizione più realistica: ciò consentirebbe di poter vivere con maggiore pienezza e soddisfazione il momento presente, ascoltando noi stessi e i nostri bisogni.

 


Bibliografia

Haidar, H. (2019). Le Mille e una notte. Edizioni Mondadori. 

Mazur, E. (1996). The Zeigarnik Effect and the Concept of Unfinished Business in Gestalt Therapy. British Gestalt Journal, 5, 18–23.

Puschner, B., Bauer, S., Horowitz, L.M. & Kordy, H. (2004). The relationship between interpersonal problems and the helping alliance. Journal of Clinical Psychology, 61, 415–429.

Zeigarnik, B. (1927). Das Behalten erledigter und unerledigter Handlungen. Psychologische Forschung, 9, 1–85.

Zeigarnik, B. (1938). On finished and unfinished tasks. In W. D. Ellis (a cura di), A source book of Gestalt psychology (pp. 300–314). London, UK: Kegan Paul, Trench, Trubner & Company.

 

Videofilmografia

Katzman, L., & Jacobs, D. (1980) Who shot J.R.? In L. Katzman, Dallas. CBS.

Chiara Rotunno Chiara Rotunno

Psicologa, iscritta all'Ordine degli Psicologi della Campania. Ama cogliere la complessità dell'essere umano e confrontarsi con realtà diverse. Le sue grandi passioni sono: i libri, la fotografia, il cinema, l'arte e la musica.

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Angela Gubitosa Angela Gubitosa

Insegnante di Arte e Immagine. Ha studiato graphic design presso l'Accademia di Belle Arti di Catania. Amante della musica e del canto, vanta il ruolo di front woman in una band.

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